Filigrana Sarda in Oro e Argento

L'uso del termine filigrana (meno comune filagrana o filigrana) viene usato a partire dal 1600, probabilmente per merito di un letterato fiorentino, Lorenzo Magalotti. L'origine del nome è senza dubbio latina, e deriva dall'unione di due sostantivi: filo (fìlum) e grano inteso come granulo (granum).

Secondo l'Enciclopedia Treccani essa è " un particolare tipo di lavorazione dell'oro e dell'argento, che consiste nel curvare e nell'intrecciare filamenti di metallo estremamente sottili, riunendoli nei loro punti di contatto con saldatura, anch'essa di metallo, per mezzo di cannello da saldare". In genere, quindi, tutta l'opera viene eseguita interamente con filo granato, ottenendo l'effetto di un arabesco un poco irreale.

La tradizione, le consuetudini, la magia. Sono solo alcuni degli elementi che contraddistinguono i gioielli sardi in filigrana.

Una lavorazione antichissima che prevede l’intreccio di fili sottilissimi di oro e argento, diventata un segno distintivo della Sardegna. L’impulso maggiore per la lavorazione arriva nel Medioevo in cui inizia la costruzione dei fili con le trafile e in Sardegna “sbarca” grazie agli spagnoli.

Da allora gli artigiani orafi sardi, ad oggi gli unici rimasti, non hanno mai smesso di creare gioielli che sono entrati a far parte della loro identità.

Il bottone (“su buttoni”) è infatti uno degli accessori per eccellenza degli abiti tradizionali.

Il bottone sardo, con una gemma di ossidiana o corallo sulla sommità di una mezza sfera costellata da piccole protuberanze tondeggianti, si riteneva capace di attrarre forze magiche potentissime. In epoche in cui la mortalità infantile superava il 50% dei nuovi nati, questo esplicito richiamo alla mammella, si credeva assicurasse la produzione del latte materno la cui mancanza metteva a forte rischio la vita del neonato e rappresentava il più grave fallimento per la donna.

La forma, inoltre, secondo una teoria, richiamerebbe quella del seno della dea cartaginese Tanit.

Il culto di questa Dea che incarnava la fertilità e veniva rappresentata con statuette che la raffiguravano nuda nell'atto di stringersi il seno, era diffuso in tutto il Mediterraneo occidentale ed era ben presente in Sardegna. Invocarla significava assicurarsi il benessere, la fecondità, la fertilità.

Non a caso, ogni sposa prima del matrimonio riceveva dal futuro marito una coppia di bottoni sardi, affinché li appuntasse sull'abito nuziale come simbolo ed augurio di grande prosperità.

Se il bottone era d’oro e di grandi dimensioni avrebbe rivelato a tutti che l’unione sarebbe avvenuta con un uomo di alto ceto sociale. La sposa lo avrebbe poi donato al primo figlio maschio che, a sua volta, lo avrebbe consegnato alla sua futura sposa.

Ogni gioiello sardo ha un significato. Come gli orecchini “a palia” (a forma di pala) che venivano indossati dalle donne che provenivano da una famiglia di panificatori, o gli orecchini a grappolo d’uva che stavano invece a indicare una donna che apparteneva a una famiglia di agricoltori, o come “su kokku” il pendaglio d’argento che veniva agganciato alle culle dei bambini per allontanare gli spiriti malvagi.

Un simbolismo prezioso che permea l’intero artigianato sardo, un modo silenzioso per comunicare e tramandare.

Alla Gioielleria La Corallina si possono trovare tutti questi gioielli e anche di più.